Durante una tranquilla passeggiata lungo la costa atlantica del Connecticut, tra barche e yachts sparsi qua e là, notai un negozio che mi era familiare
Incuriosito, entrai, e mi resi subito conto che tutto il mondo e’ paese, almeno per quanto riguarda le attrezzature subacquee. Le solite mute, i soliti secondi stadi, che in inglese si chiamano ‘regulator’…più o meno era tutto come al solito…
Ciò che fu insolito, oltre al radioso sorriso californiano della splendida commessa, fu una serie di piatti piuttosto malconci su cui spiccava la scritta Italia. “ Dove li ha trovati?” – le chiesi – “vengono dall’Andrea Doria,
l’ Everest delle immersioni” rispose lei con accento della west coast.
Lì accanto c’era una pila di Avanti Quattro, una serie di libri tra cui trovai The Last Dive (it. L’ultima immersione). Ed è proprio con quel libro che iniziò la mia avventura nel tenebroso mondo della subacquea tecnica e delle colorite personalità che la popolano.
Per un sub semplicemente sportivo come me, quella dei ‘tecnici’ si caratterizza come una comunità o confraternita quasi massonica, con i suoi riti, le sue rivalità e il suo spirito corporalistico. Questo vale negli Usa, ma non e’ molto diverso in Italia.
La subacquea tecnica viene spesso descritta come uno sport estremo. Sotto certi aspetti lo e’: sia dal punto di vista fisiologico che da quello psicologico.
Ma e’ una descrizione incompleta: la subacquea tecnica applicata ai relitti e alle grotte sottomarine è principalmente esplorazione. Un mezzo quindi