Per la maggior parte delle persone intendere nomi come St. Tropez, St. Maxime, Port Grimaud etc., porta automaticamente alla mente, immagini legate al cinema, al jet set, donne bellissime, auto di lusso, Casino' ed etc.La stessa cosa non avviene per tutte quelle persone che come me sono appassionate di subacqueo, la prima immagine che viene davanti agli occhi é quella di una quantità ed una varietà inimmaginabile di relitti subacquei. Esistono poche altre parti in Europa e nel mondo che possano vantare un tale assortimento di navi da guerra, navi da trasporto, navi passeggeri, sottomarini, aerei e chi più ne ha più ne metta. Molti sono i motivi che hanno causato l’elevata concentrazione di relitti in questa zona nel sud della Francia. Innanzi tutto la meteorologia, famosa per le sue tempeste improvvise e vento di "Mistral" di forza inaudita, che puo' durare giorni e giorni. Secondo motivo, la presenza di porti militari e commerciali fra i più importanti del mediterraneo, con un traffico navale molto intenso. Una parte dei naufragi é stata causata dalle tempeste, che hanno spinto più di una nave contro le numerose isole e scogli presenti, inoltre molte navi ed aerei sono stati colati a picco in tempo di guerra, essendo preda delle numerose incursioni aeree, dei sottomarini e delle mine vaganti disseminate intorno alla baia, ma la causa più importante come numero di naufragio è l’utilizzo delle navi in disarmo come bersaglio d’esercitazioni aeree e navali. I relitti conosciuti sono molti, di cui alcuni sicuramente famosi anche oltre le frontiere francesi, come il "RUBIS", il "DONATOR", il "TOGO" ed altri ancora, ma altrettanti sono ancora i relitti non ancora scoperti, o conosciuti solo da alcuni che custodiscono gelosamente il loro segreto. Durante una delle mie immersioni nella zona, nell'autunno scorso, Momo, il responsabile del club "Eparlan" di Cavalaire, mi avvicinava nell'intervallo tra le immersioni, comunicandomi di aver avuto da un pescatore la presenza di un relitto non ancora conosciuto. La mia eccitazione era evidente, in quanto non esiste niente di comparabile per un subacqueo appassionato di relitti della scoperta di un nuovo punto d’immersione. Alla mia domanda "quando andiamo?", la risposta ricevuta era un po' evasiva, "quando finisce la stagione". Svariate volte in seguito, in occasione di successive immersioni con la sua barca, gli ho ripetuto la domanda, senza mai avere una risposta precisa. Tutto fino ad un sabato sera, durante la programmazione dell'immersione del giorno successivo sul "TOGO", alla mia consueta telefonata per le ultime informazioni meteo a Momo, ero sorpreso dalla sua risposta " meteo eccezionale, ma domani facciamo il Traffic". " non conosco questo relitto, dove si trova?" domando. " E' il nuovo relitto di cui ti avevo parlato" risponde tranquillamente. Dopo aver domandato ulteriori informazioni, per consentirmi di programmare l'immersione con sicurezza, chiudo la comunicazione telefonica, un grido di gioia all’unisono si leva nella stanza. Fortunatamente, i parametri dell'immersione sono simili a quelli dell'immersione già programmata in precedenza, 60 metri di profondità massima, tempo di fondo previsto 30 minuti, possibilità di corrente forte. Programmare un'immersione del genere é veramente importante, per non dire obbligatorio, e comprende la scelta dell'attrezzatura necessaria, la gestione della decompressione, la gestione della tossicità all'ossigeno, le quantità di gas necessari (fondo+decompressione), le procedure d’emergenza ed il ruolo d’ogni membro dell’équipe prima, durante e dopo l'immersione. Nell’immersione di domani potremo anche collaudare il nuovo computer subacqueo "NiTek3" prodotto dalla Dive Rite, messoci a disposizione dall’importatore francese. Questo tipo di computer è il primo sul mercato a permettere di poter utilizzare fino a tre miscele (21-99% O2), liberamente intercambiabili durante l’immersione. Finalmente, dopo una notte un po' agitata per l'eccitazione, arriviamo a Cavalaire, dove Momo ci attende con impazienza per partire verso il luogo d’immersione. Sulla barca, cominciano le domande a raffica in cerca di ulteriori informazioni sul relitto: provenienza e tipo di nave, eventuale carico trasportato, data e motivi del naufragio, stato attuale del relitto etc. In effetti, le risposte a queste domande sono state alquanto vaghe in quanto alcuna notizia certa era stata scoperta sul relitto. Cominciamo quindi a preparare le nostre attrezzature, controllare il loro funzionamento ed un’ultima revisione del piano di immersione. Per quest’immersione utilizziamo le seguenti attrezzature: un bibombola di 12+12 litri a 230 bar di pressione, e due bombole da 10 litri a 200 bar contenenti le miscele della decompressione, giubbetto equilibratore di tipo tecnico a gonfiaggio posteriore con doppio sacco, pallone di sollevamento con mulinello per gestire un’eventuale decompressione di emergenza. Abbiamo programmato 60 mt. di profondità massima ed un tempo di fondo di 30 minuti, utilizzando aria e la decompressione con Nitrox 40 e Nitrox 80. Per la gestione della decompressione è stato utilizzato il programma "ProPlanner", che utilizza come base di calcolo l’algoritmo di Bhulmann a 16 compartimenti. Arriviamo sul punto di immersione, dove dopo un’ultimissimo controllo generale c’immergiamo. Per la discesa utilizziamo la cima gettata da Momo, e arriviamo sul relitto che si trova poggiato sul fondo in linea di navigazione. La visibilità è buona anche se la luce ambiente è limitata dalla profondità e dal fondale si colore scuro. La cima di ancoraggio è fissata sulla prua della nave che si trova ancora in perfetto stato di conservazione, con ben quattro ancore ancora in posizione e l’argano principale in sede, ed è letteralmente invasa da un’enorme branco di Anthia, e tutto ciò’ ci dona una vista particolarmente caratteristica del relitto. Scattiamo subito alcune foto ed effettuato un giro rapido e troviamo un posto adatto dove depositare le bombole da decompressione, prima di iniziare la vera esplorazione del relitto. Lo stato generale del relitto è discreto, con alcuni fori sulle parti laterali dello scafo ed una rottura più importante sulla chiglia verso la parte centrale dello scafo, forse la causa principale dell’affondamento. La lunghezza totale non dovrebbe essere superiore ai 35/40 metri, e già un primo sguardo ci permette di classificarla come nave da trasporto e con con la parte anteriore utilizzata come cisterna o cella frigorifera. Infatti, sulla stiva a prua, una serie di condutture munite di alette di raffreddamento s’intrecciano occupando in pratica tutta la superficie. La stiva che si trova più a poppa è a cielo (o mare?) aperto, in quanto le lamiere che la ricoprivano sono come state divelte, forse da un’esplosione, e questo ci permette una prima cauta visita dell’interno del relitto. Bisogna fare estrema attenzione al movimento delle pinne in quanto il pavimento è coperto da uno spesso strato di melma estremamente fine, ed un movimento errato potrebbe mettere fine alla visita per mancanza di visibilità. La stiva è completamente vuota e tutti i tentativi di trovare una via di accesso alle stive adiacenti, si rivelano vani. Dopo aver preso alcune foto usciamo dalla stiva per passare alla parte poppiera dove in origine si trovava il ponte di comando. Praticamente non ne rimane quasi niente, se non una serie di tubi e lamiere contorte sparse su tutta la coperta di poppa, non vi è alcuna traccia di strumentazione o suppellettili varie. Scendendo verso la chiglia, veniamo colpiti dalla mancanza non solo dell’elica, ma anche di tutta la linea d’asse. Mentre per l’elica è possibile che sia stato fatto un recupero dopo il naufragio, per la linea d’asse questo risulta troppo complicato e dispendioso in rapporto al valore del materiale. E’ quindi possibile che queste operazioni siano state fatte in cantiere, e la nave sia arrivata sul posto trainata da un rimorchiatore, ed utilizzata come bersaglio durante esercitazioni militari di tiro. E’ a questo punto che una sensazione mi dice che qualcosa non quadra nella nostra visita al relitto, e domandadone conferma agli altri componenti l’équipe con gesti e parole scritte sulla lavagnetta, anche loro confermano la stessa impressione, cioè la mancanza quasi totale di pesci di grossa taglia, ed in particolare di gronghi e murene. La cosa è alquanto strana, in quanto non siamo molto lontani dal "Rubis", sottomarino famoso anche par la presenza di grossi pelagici e di murene e gronghi giganti. Le pareti dello scafo sono ricoperte di gorgonie di vari tipi e dimensioni, soprattutto sulla perte esposta ad ovest, indicano la frequente presenza di correnti in profondità. Controlliamo i nostri computer e, tempo tiranno, ci rimane giusto il tempo di recuperare le bombole per la decompressione ed iniziare la risalita. A trenta metri lasciamo l’aria per l’EAN40 controllando la nostra tabella di marcia ed impostando la nuova miscela sul nostro "NiTek3".Fantastico, tutto funziona perfettamente, e tutti i tempi di decompressione sono immediatamente modificati in funzione della nuova miscela. Il computer, che ha calcolato un’immersione multilivello segna la prima tappa a 9 metri, contro i 15 metri calcolati con le tabelle. Solo Patrice uno dei componenti dell’équipe, che ha impostato un’errata miscela di fondo sul computer, non puo’ seguire le sue indicazioni, ma effettua in tutta sicurezza la decompressione calcolata in superficie, ottimo esempio di quanto sia importante non affidarsi completamente agli strumenti elettronici, ma prepararsi sempre un sistema di decompressione di emergenza. A 9 metri, nuovo cambio con EAN80 e nuova impostazione sul computer, e tutto funziona a meraviglia. A 57 minuti dalla nostra entrata in acqua il nostro "NiTek3" ci segnala che la nostra decompressione è terminata, con 17 minuti di anticipo sulla programmazione a tabelle, e ben 67 minuti se avessimo utilizzato solamente aria durante tutta l’immersione. Rimaniamo comunque sulla postazione di decompressione nell’attesa che anche Patrice finisca, per riemergere in superficie tutti insieme. Una volta la testa fuori dell’acqua, ancora prima di rimontare sulla barca, cominciamo subito a scambiarci le prime impressioni ed i primi commenti sull’immersione. Ancora non siamo usciti dall’acqua è già si parla della prossima immersione, di cose viste e non fatte per mancanza di tempo, di accessi possibili per penetrare all’interno del relitto etc. etc. A volte penso che le persone colpite dal virus della subacqueofilia diventino veramente degli "Incontentabili". Saliti in barca, liberatici delle attrezzature, ci riuniamo insieme con Momo per il debrefing dell’immersione. Ognuno di noi mostra le lavagnette subacquee dove durante la decompressione ha annotato dei particolari del relitto, in modo da poter utilizzare queste informazione per il riconoscimento ufficiale. Momo stesso si prende carico di informarsi presso l’Arsenale di Tolone se esiste una nave naufragata e non ancora ritrovata che corrisponda ai dati riportatigli.Finita la parte, diciamo amministrativa, possiamo rifocillarci con le bevande ed il cibo che sull’ "Eperlan" ( il nome della barca del club) come sempre ci attendono alla fine di ogni immersione. Arrivati in porto, sistemato l’equipaggiamento dentro le vetture, non ci restano che i saluti per finire una giornata di immersione, che rimarrà ben evidenziata sul diario di immersione e impressa nella memoria di ognuno dei partecipanti. Ci lasciamo come al solito: "Ci vediamo alla prossima".
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