Ricerca sulla sicurezza dell’immersione
Il ruolo del DAN Europe
La PDD (Patologia da Decompressione) è l’incubo di ogni subacqueo. Chiunque si
immerge, dal più al meno esperto, sa che deve rispettare specifiche regole di sicurezza
per evitare la formazione di bolle gassose nell’organismo. BOLLE, è proprio questa la
parola chiave! “La PDD rappresenta il punto di arrivo patologico nella pratica dello sport
subacqueo – afferma il prof. Alessandro Marroni, presidente dell’ IDAN – ma la nostra
attenzione deve essere incentrata sulle bolle, che sono il fattore scatenante del quadro
patologico”.
L’IDAN, International Diving Alert Network, è la maggiore organizzazione al mondo ad
occuparsi di ricerca medico-scientifica sulla sicurezza dell’immersione. A livello europeo, il
DAN Europe è attivo dal 1983 per soccorrere i subacquei in caso di emergenza.
Il laboratorio di ricerca del DAN Europe, situato a Bruxelles, ha analizzato fino ad oggi
oltre 25.000 profili di immersione. Tutti i sub possono “donare” volontariamente le loro
immersioni trasferendo i dati raccolti dal computer subacqueo su un apposito software,
Immersioni, facilmente scaricabile dal sito www.daneurope.org.
Grazie al DAN sappiamo che la presenza di gas circolante è un evento molto comune nei
sub. Le bolle si formano anche durante immersioni normali che, secondo le teorie
decompressive classiche, non dovrebbero produrne. In realtà solo il 31% dei subacquei
torna in superficie senza bolle, mentre il 13% presenta bolle ad alto grado ed il resto di
grado medio.
“Per fortuna – scherza il Dr. Marroni – la risposta patologica alle bolle non è costante,
altrimenti le camere iperbariche dovrebbero lavorare a pieno ritmo! A nostro avviso la
complessità biologica non può essere compresa ed espressa completamente dalle
formule matematiche. Attualmente circa il 60% delle patologie decompressive nelle
immersioni ricreative è “immeritato”, avviene cioè dopo immersioni normali e senza errori.
Ci sono persone che scampano indenni da situazioni disperate, mentre altri riportano gravi
problematiche nonostante abbiano rispettato tutte le regole. E’ evidente, dunque, che
dobbiamo tornare all’osservazione della natura, senza pensare di poterla sostituire
integralmente con delle regole matematiche”.
Proprio con lo scopo di osservare meglio la natura, i ricercatori DAN hanno creato un
laboratorio mobile di ricerca, da attrezzare sul campo in occasione di eventi
appositamente organizzati. Grazie alla partecipazione di centinaia di sub volontari che si
sono prestati a diversi esami, si è scoperto che spesso la formazione di bolle non è dovuta
solo ad un profilo di risalita sbagliato. A volte, infatti, le bolle si formano in seguito
all’alterazione di condizioni fisiologiche, come idratazione o esercizio fisico.
Si è notato, ad esempio, che molti sub trattati per PDD erano disidratati. Una diminuzione
di liquidi corporei causa l’aumento del peso specifico del sangue ed un crollo della
tensione superficiale, che contrasta la crescita delle bolle. L’ideale è bere almeno 250 cm
cubi di acqua (circa due bicchieri) ogni 15/20 minuti, per consentire al liquido di essere
assorbito dai tessuti. Si crea così una condizione di iperidratazione che, come mostrato
dalle ricerche, fa calare drasticamente il numero di bolle post-immersione.
Un altro consiglio è di mantenersi sempre in buona condizione fisica. I soggetti esercitati
sono più protetti rispetto a quelli sedentari, presentando una maggior resistenza allo stress
da decompressione. Attenzione però! Non è consigliabile sostenere sforzi intensi subito
prima dell’immersione, perché si generano micronuclei gassosi che restano nei tessuti.
L’attività fisica è favorevole solo se fatta almeno 20 ore prima (i micronuclei hanno il tempo
di essere riassorbiti). Questo favorisce la produzione di ossido nitrico, che protegge i
tessuti dall’attacco delle bolle. Insomma, come continua il prof. Marroni, “bisogna allargare
il campo visivo: il problema non è sempre e solo dove si crede che sia!”.
La ricerca del DAN Europe non si limita alle immersioni con autorespiratore.
Recentemente, grazie alla collaborazione con Apnea Academy, sono state fatte
interessanti scoperte a proposito delle immersioni in apnea. Secondo i primi risultati,
sembrerebbe che, anche in apnea, immersioni ripetute a profondità elevate potrebbero
esporre l’organismo ad un accumulo di azoto nei tessuti, favorendo il rischio di formazione
di bolle gassose nel sangue venoso e da questo, in caso di shunt tra circolazione Destra e
Sinistra, il loro passaggio nella circolazione sistemica. Al momento i dati non sono ancora
stati studiati a sufficienza da permetterne la divulgazione, ma il lavoro è appena all’inizio
ed i ricercatori sono fiduciosi di avere i risultati preliminari molto presto.
Laura Marroni
Fonte: Dan Europe
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