Deep stop: la sosta profonda è defunta?
Ci avviciniamo alla stagione calda … molti di noi hanno già ricominciato le loro immersioni, pochi non le hanno mai sospese … E’ inutile sottolinearlo, quando la subacquea diventa parte della tua vita è difficile staccarsene. Non è solo una attività ricreativa ma uno stile di vita, che dovrebbe essere sempre seguito con consapevolezza e professionalità. Pubblico oggi un interessante articolo del dottor Pasquale Longobardi pubblicato da www.simsi.it il 24 novembre 2016 che invito tutti a leggere con la dovuta attenzione. Buona lettura  e .. buone immersioni.
Deep stop: la sosta profonda è defunta?
I subacquei del gruppo di discussione Facebook “It Hobby Scuba” hanno attivato una costruttiva discussione su quanto ho presentato al convegno della NADD a Colico (Lecco) il 19 novembre 2016. Ritengo utile rendere pubblici i punti salienti per stimolare lo scambio di opinioni in questo sito SIMSI. Alla fine di questo articolo trovate il link per leggere le slide presentate al convegno.
Innanzitutto un chiarimento sulla terminologia di “deep stop”. Io traduco in italiano “stop” con “tappa” se questa è prevista dal software, dal computer o dalla decompressione mnemonica (la tappa, così intesa, deve essere certamente effettuata). Traduco con “sosta” se essa fosse arbitrariamente aggiunta a quanto previsto dal metodo di calcolo della decompressione scelto (ritengo la sosta, così intesa, spesso inutile se non dannosa).
Angelo Ubiali ha riportato la sintesi di quanto è stato affermato nel convegno:
1. Evitare le “deep stop” aggiuntive (cioè le “soste”) rispetto alle tappe obbligatorie definite dall’algoritmo utilizzato per il calcolo della decompressione.
2. Tutti i computer danno profili di decompressione più che adeguati.
3. Molti fattori possono determinare lo stress decompressivo. L’endotelio dei vasi sanguigni reagisce ad esso rilasciando delle “microparticelle” (citochine pro-infiammatorie) che attivano l’infiammazione già in profondità, prima di iniziare la risalita. Le citochine, a loro volta, attivano l’espressione delle beta 2 integrine (una sorta di “tentacoli”) sui globuli bianchi favorendone l’adesione all’endotelio, il passaggio (diapedesi) nei tessuti e il danno infiammatorio. Quindi è importante prevenire lo stress decompressivo e la conseguente infiammazione già durante il tempo di fondo dell’immersione (oltre che gestire bene la risalita).
Preciso che per “stress decompressivo” si intende la pressione parziale di azoto e/o ossigeno elevate (rispettivamente oltre 3,2 bar e 1,3 bar), un tempo totale di decompressione superiore a 30 minuti, il profilo di risalita saliscendi o a yo-yo, l’intervallo superficie inferiore alle due ore, l’intervallo tra immersioni successive superiore a 21 giorni.
4. Lo stato infiammatorio in immersione è correlato con la forma fisica. Il fumo, l’elevato colesterolo, l’indice massa corporea (Body Mass Index) oltre 30, la circonferenza addominale oltre la norma aumentano significativamente il rischio relativo di patologia da decompressione.
Nel 2016 l’International Maritime Contractors Association (IMCA) ha modificato il logbook degli Operatori Tecnici Subacquei inserendo il parametro della forma fisica (consumo di ossigeno calcolato con test da sforzo, Body Mass Index, circonferenza addome) perché è condiviso che l’alterazione di questi parametri è correlata con la sofferenza endoteliale e l’aumento del rischio cardiovascolare (oltre che dell’incidente da decompressione).
5. La desaturazione del gas inerte è correlata con il pH del sangue (che sposta la finestra dell’ossigeno).
6. In caso di incidente da decompressione immeritato (cioè in assenza di errori manifesti durante la risalita) la causa potrebbe essere non solo lo shunt destra sinistra ma anche altri fattori non modificabili (età superiore a 50 anni; alterazione genetica della sintesi di monossido di azoto o predisposizione alla trombofilia) o modificabili (quelli correlati alla forma fisica, sopra in parte elencati).
Qual è il parere attuale degli esperti (in particolare del DAN) sulle soste profonde?
Il dottore Peter Denoble (2010) in un articolo sulle “deep stop” pubblicato, nel 2010, sulla rivista del DAN “Alert Diver Network online” riporta il parere di diversi esperti i quali concordano sulla necessità di essere prudenti nell’inserire le soste profonde nella procedura di decompressione. La conclusione dell’articolo è “There is insufficient evidence to suggest a deep stop (inteso come “sosta profonda” secondo la mia traduzione) offers any advantage”.
Il dottore Simon Mitchell afferma che i subacquei non dovrebbero modificare arbitrariamente l’algoritmo di decompressione. Se le soste profonde (facoltative) fossero inserite alla profondità sbagliata e/o per un tempo errato, vi sarebbe un aumento significativo (e non la diminuzione) della probabilità di incidente da decompressione. Se il subacqueo ritenesse accattivante il concetto delle soste profonde, dovrebbe scegliere un algoritmo che preveda le tappe profonde (che sono obbligatorie).
Il professore David Doolett segnala gli studi sperimentali della Diving Unit della US Navy su quasi 400 immersioni con respirazione in aria a 52 metri di profondità per un tempo di fondo di 30 minuti. A parità di tempo totale di decompressione, in metà delle immersioni sono state inserite soste profonde, nell’altra metà sono state evitate. Si sono verificati più casi di incidente da decompressione nelle decompressioni con soste profonde rispetto a quelle che non le prevedevano. Già nel 2005, uno studio francese aveva evidenziato che “The addition of deep stops requires careful consideration. Two of our Experimental Ascent Profiles (aggiunta di soste profonde) made no difference and one produced increased bubbling”
continua… http://www.ocean4future.org/archives/13437