Nuova scoperta dal relitto del brick del Regno Italico affondato nel golfo di Trieste nella battaglia navale del 1812
di Pietro Spirito
È emersa del fondo del mare del golfo di Trieste la prima lattina della storia di cui si abbia notizia. La usavano i marinai imbarcati sul brigantino del Regno Italico “Mercure”, prima di morire tutti nell’esplosione della nave la notte tra il 21 e il 22 febbraio 1812, durante lo scontro con una flottiglia britannica in quella che è nota come Battaglia di Grado. La nave, spezzata in due dall’esplosione (le cui cause non sono ancora del tutto chiare) colò a picco in pochi minuti, portando con sè i marinai e tutto il loro equipaggiamento e armamento. Per due secoli il relitto del Mercure è rimasto sul fondo del mare, finché, scoperto per caso nel 2001 dai pescatori della famiglia Scala di Marano, ha cominciato a restituire i suoi segreti agli archeologi subacquei dell’Università Ca’ Foscari di Venezia guidati dal docente di archeologia navale Carlo Beltrame. Segreti ma anche primati: il Mercure (il cui scavo negli ultimi anni si è interrotto per mancanza di fondi) è l’unico relitto noto di una nave del Regno Italico, è il più antico relitto di nave battente bandiera tricolore, partecipò alla battaglia che di fatto contribuì alla fine di Napoleone Bonaparte e rappresenta l’unico ritrovamento di un elevato numero di scheletri in un relitto del Mediterraneo.
E adesso la novità: dall’analisi delle centinaia di reperti recuperati in fondo al mare, si scopre che i marinai del Mercure – provenienti in gran parte dalle nostre regioni – a bordo usavano le prime scatolette per le conserve in circolazione. Una di queste è emersa dallo scavo subacqueo, e sarebbe quindi il primo esemplare noto di contenitore in latta della storia. Non è un particolare da poco perché, fra l’altro, dimostra come gli oggetti personali e le suppellettili, ben conservati e ritrovati in gran numero sul relitto, permettono di scrivere una storia della vita a bordo delle navi militari del periodo napoleonico che va ben oltre i luoghi comuni della letteratura prodotta sull’argomento.
A sostegno della scoperta è appena uscito un articolo scientifico firmato da Stefania Manfio, una delle archeologhe subacquee della Ca’ Foscari che ha lavorato sul relitto, dedicato a “La cucina del relitto del brig Mercurio (1812)”, apparso sull’ultimo numero della prestigiosa rivista di settore “Archeologia Postmedievale”. Nel suo studio Stefania Manfio analizza nel dettaglio, sulla base dei reperti recuperati in fondo al mare (900, 145 dei quali riferibili alla cucina e alla cambusa), come cucinavano e cosa mangiavano i marinai imbarcati sul brigantino.
Il quadro che emerge non è esattamente quello di una crociera di piacere: la cucina era una stufa in ferro posizionata all’aperto, sul ponte principale, il cibo veniva cucinato in grandi calderoni di rame (a bordo ce n’erano 21), l’acqua era conservata in botti, ma già «a pochi giorni dalla partenza diventava maleodorante a causa dei vermi che si formavano», le posate erano di legno e ogni marinaio le portava sempre con sè: quelle trovate sul relitto erano tutte accanto agli scheletri. Anche le tazzine per il caffè (distribuito sulle navi a partire dal XIX secolo) erano oggetti personali: una di queste, in porcellana con orlo decorato in blu, è stata recuperata accanto ai resti di un ufficiale. Nella stiva c’erano polli e animali da macello, mentre i topi erano un autentico flagello combattuto con l’impiego dei gatti: sul Mercure sono state rinvenute le ossa di due felini domestici di età diversa, morti anche loro nel naufragio. Ma la scoperta più sorprendente rimane la lattina. Bibliografia alla mano, Stefania Manfio dimostra come, dopo il metodo Appert del 1796 e alcuni esperimenti del mercante inglese Peter Durand nel 1810, la prima fabbrica di conserve in barattoli venne aperta dagli industriali britannici Bryan Donkin e John Hall a Bamondseynel proprio nel 1812. Seguendo le tracce scritte, l’archeologa arriva alla conclusione che la lattina recuperata dal relitto del Mercure «sia stata prodotta durante le prime sperimentazioni di Durand o dei due industriali inglesi, tra il 1810 e i primi mesi del 1812, e che, eludendo il blocco continentale, essa sia finita nel mercato per poi essere imbarcata come cibo in scatola all’interno di una nave battente bandiera italiana. A questo punto saremmo di fronte al ritrovamento del primo esemplare noto di contenitore in latta».
Lo stesso numero della rivista in cui appare il saggio di Stefania Manfio ospita anche un ampio articolo scientifico di Francesca Bartoldi, Carlo Beltrame e Carlotta Sisalli, tutti della Ca’ Foscari, sull’analisi dei resti umani emersi dal relitto: gli scheletri di sette uomini più altre ossa sparse, che raccontano come vivevano, quanti anni avevano (tra i 16 e i 18, il più anziano 45), di quali patologie soffrivano e come morirono durante la Battaglia di Grado i marinai del Mercure.
p_spirito
fonte: http://ilpiccolo.gelocal.it