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In ricordo di Folco Quilici

Federico De Stroebel, vicepresidente della Historical Diving Society Italia, racconta l’importanza e le straordinarie qualità del grande documentarista, divulgatore scientifico, scrittore e ambientalista, scomparso il 24 febbraio

di S. Moraca e redazione N.G.I.

cultura,cinema,ambiente,oceani

Folco Quilici in una fotografia Ansa

È stato uno dei più grandi documentaristi mondiali, capace di tradurre in immagini spettacolari e parole, contenuti scientifici che altrimenti non sarebbero mai arrivati al grande pubblico.
Dagli anni Cinquanta a oggi, Folco Quilici, scomparso sabato scorso alla soglia degli 88 anni, ha scritto una cinquantina libri e girato una lunga serie di imprescindibili documentari, che hanno indagato ogni aspetto del Pianeta, dal rapporto dell’uomo con il mare fino alla storia e all’archeologia.
L’incontro col mare, la sua più grande fonte d’ispirazione, fu quasi fortuito: iniziò a immergersi nel 1946, quando si recò da Bergamo a Levanto in bicicletta, per andare a trovare lo zio. Qui conobbe un coetaneo americano, Erick Amfiteatros, divenuto noto in seguito per essere diventato giornalista caporedattore di Life, che aveva acquistato in Francia una maschera e delle pinne. Due anni dopo, durante una vacanza in Sardegna, Quilici realizzò “Pinne e Arpioni”, girato con una cinepresa Keystone 16 mm..

Bruno Vailati, colpito dal documentario lo contattò per la realizzazione di “Sesto Continente” (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954) che

uscì nelle sale due anni prima rispetto al primo film di Jacques-Yves Cousteau. Il documentario subacqueo sul mondo del mare girato in 130 giorni lungo le coste dell’Africa destò subito ammirazione per il suo rigore scientifico privo di sensazionalismi, pur mantenendo intatti senso dell’avventura e della scoperta. A questo lungometraggio fece seguito “L’ultimo paradiso” (1956) vincitore l’anno seguente dell’Orso d’argento per il miglior documentario a Berlino. CONTINUA…

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